Una volta lo si diceva dei film porno quando si voleva arrivare al sodo, si urlava dalla sala o dal divano “troppa trama!”, ed un po’ è quello che viene voglia di dire già a metà serie. Stiamo parlando della seconda stagione di True Detective, forse l’evento televisivo più atteso dell’anno, e come spesso purtroppo accade, la delusione più cocente per la maggior parte del pubblico che dalla prima serie era rimasto stregato. Noi compresi.
Questa volta non è bastata la penna di Nic Pizzolato anzi, forse è proprio nell’eccesso di scrittura che la seconda serie di True Detective perde tutto il suo fascino, in tutte quelle parole aggiunte ai silenzi meravigliosi dei primi due protagonisti, gli impagabili Matthew McConaughey e Woody Harrelson, ancora presenti con il loro fantasmi quando si vede in questa seconda stagione Vince Vaughn abbottonarsi la giacca una volta sì ed una no (e quanto gli costa quella giacca a Frank, e il suo stile sempre ostentato!) o quando Colin Farrell finisce a letto con la sua collega Rachel McAdams.
Peccato, perché forse è lui l’unico che si salva in questa sarabanda,
se non fosse per la storia del figlio (troppo azzardata forse la scelta del piccolo Trevor Larcom nel ruolo di Chad Velcoro, un contrasto che non regge), comunque più sopportabile di quella di Frank che non riesce ad avere un figlio dalla moglie Jordan (Kelly Reilly), con un angosciante risvolto da soap opera.
Si salva solo Farrell anche perché il detective Velcoro è dei protagonisti quello più sviluppato, e ne sa qualcosa l’agente Paul Woodrugh (Taylor Kitsch) che infatti viene ammazzato per primo fra i tre, e come nemmeno più Raymond Chandler scriverebbe.
Esordio femminile per Rachel McAdams (nella serie dei detective) meno imbarazzante nel ruolo di Antigone Bezzerides (cosa?!) perché almeno ha una sorella che si prostituisce e anche una personale violenza sessuale da adolescente (non poco per un detective donna! avrà pensato Pizzolato, dopo aver partorito il suo nome) e che ha un padre capellone che sembra sbucato da una serie tv fantasy.
C’è un po’ di tutto dunque, e anche troppo allora ci verrebbe da dire, come i lamenti musicali al bar, nemmeno fosse un acido spacciato da David Lynch, e una trama che sembra presa di pari passo dal film inglese Quel lungo venerdì santo (1980) di John Mackenzie.
No, non ci siamo per niente, così come i capelli lunghi del padre della poliziotta: dove siamo finiti Nick? In che incubo di messa in scena ci hai portato?
buona visione.