Se non ci fosse stato questo studio sulla scenografia (e le ombre) probabilmente il film di Robert Wiene non sarebbe mai entrato nella storia del cinema. Non è però l’unico o il primo esempio di quello che, proprio grazie a questo particolare approccio visivo, ha preso il nome di espressionismo, uno stile che supporta la narrativa del racconto attraverso l’uso di forti ombre e una percezione distorta degli ambienti.
Per oltre una trentina di anni in Danimarca sono state sterilizzate decine di migliaia di donne. Di come questo sia potuto accadere, questo film non se ne dà troppa cura di renderlo più chiaro che con un cartello a fine proiezione. Di come faccia però di tutto per complicare che questa importante informazione arrivi al pubblico durante il film, di per sé più scioccante di qualsiasi struttura narrativa del thriller, è davvero un mistero, forse il vero mistero di Paziente 64 – Il giallo dell’isola dimenticata (2018) di Christoffer Boe. Leggi il seguito di questo post »
Sono ancora sconvolto dopo aver visto Il mostro di St. Pauli di Fatih Akin, e per più di un motivo. Non mi dilungherò qui nel ricordare che si tratta di un film ispirato agli omicidi di Fritz Honka ad Amburgo negli Anni 80, perché ne hanno già parlato tutti e comunque questo tipo di informazioni si possono ricavare con una ricerca su Wikipedia. Anche perché i fatti messi in scena da Akin non corrispondono completamente ai fatti reali di questa brutta e sozza vicenda, perché non è quella realtà la cosa importante di questo film, ma la realtà che il regista mette in scena. Sconvolgente. Leggi il seguito di questo post »
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