Quarto potere – Orson Welles. (U.S.A. – 1941 – 119′ b/n – Tit. Or. Citizen Kane)
Con: Orson Welles, Joseph Cotten, Dorothy Comingore, Everett Sloane, George Coulouris, Ray Collins, Ruth Warrick, Erskine Sanford, Agnes Moorehead, Richard Baer, Paul Stewart, Alan Ladd.
Scrivere di Quarto potere, buttare giù una recensione fuori tempo, è tanto scorretto per la storia del cinema quanto inutile. Cercherò quindi solo di ricordare quali sono stati i punti di rottura di questo caposaldo del cinema mondiale, dall’originalità delle inquadrature (che permisero al filosofo francese Jean-Paul Sartre di definire il film superiore nelle immagini in confronto ai personaggi) all’utilizzo del panfocus (o deep focus) che permise all’obiettivo fotografico una profondità di campo sempre più vicina a quella dell’occhio umano, fino al particolare contratto che la RKO fece per accaparrarsi la prima regia di Orson Welles (a soli 25 anni ebbe carta bianca come nessuno mai) e che permise al regista francese François Truffaut, a distanza di molti anni, di ricordare che è stato proprio questo film (e la libertà riconosciuta al suo regista) a far crescere nei giovani francesi degli Anni 30 la voglia di diventare registi (la voglia d’essere registi sarebbe più corretto dire oggi alla luce di tutto il pensiero della Nouvelle Vague).
C’è un grande scoglio in mezzo al mare sul quale è stato eretto un faro, e due sono gli unici uomini incaricati di prendersi cura di questa minuscola isola in mare aperto. Uno è Thomas Wake, un esperto e anziano marinaio con il vizio dell’alcol, l’altro è Thomas Howard, un più giovane e inesperto apprendista in fuga da qualcosa. C’è la solitudine, la fatica di lavorare in un posto così difficile, e ci sono i racconti del vecchio marinaio, che se ne approfitta anche facendo nonnismo sul nuovo arrivato. Che sarà una convivenza difficile si intuisce da subito, e che qualcosa di storto tra i due debba andare è altrettanto scontato, ma devono trascorrere solo 4 settimane e tutto sarà finito, a meno che il vento non cambi e l’approdo all’isola diventi impossibile. Leggi il seguito di questo post »
Quando si parla di metacinema, Close-up di Abbas Kiarostami è un film imprescindibile almeno quanto lo può essere un film di Orson Welles sullo stesso argomento, con la stessa tecnica. Partendo da un episodio vero, del tutto pirandelliano, come quello di un uomo che ha tentato di raggirare una famiglia assumendo la falsa identità di un regista famoso ed al quale in effetti assomiglia molto, Kiraostami imbastisce una profonda riflessione sia sulla condizione umana nel suo paese, fragile e disperata come quella del protagonista, sia sulla figura del cineasta e sul ruolo nel cinema. Leggi il seguito di questo post »
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