C’è un grande scoglio in mezzo al mare sul quale è stato eretto un faro, e due sono gli unici uomini incaricati di prendersi cura di questa minuscola isola in mare aperto. Uno è Thomas Wake, un esperto e anziano marinaio con il vizio dell’alcol, l’altro è Thomas Howard, un più giovane e inesperto apprendista in fuga da qualcosa. C’è la solitudine, la fatica di lavorare in un posto così difficile, e ci sono i racconti del vecchio marinaio, che se ne approfitta anche facendo nonnismo sul nuovo arrivato. Che sarà una convivenza difficile si intuisce da subito, e che qualcosa di storto tra i due debba andare è altrettanto scontato, ma devono trascorrere solo 4 settimane e tutto sarà finito, a meno che il vento non cambi e l’approdo all’isola diventi impossibile.
Singolare omaggio al cinema noir classico degli anni d’oro, a cominciare sia dalla scelta del bianco e nero che del formato del fotogramma, The lighthouse (2019) di Robert Eggers è in realtà una visionaria avventura lì dove inconscio e conoscenza si scontrano nella tempesta del mistero. Per capire dove ci stiamo addentrando, bisogna ricordare che Eggers è quello che ha esordito con il bellissimo The Witch – Vuoi ascoltare una favola? (2015) in cui la capacità di non mostrare ma alludere aveva sorpreso circa le sue capacità registiche. Non è stato da meno nemmeno nel caso di The Lighthouse, ispirato ad un racconto incompleto di Edgar Allan Poe, e fotografato ancora una volta da Jarin Blaschke.
Il film infatti inizia come Shutter Island (2010) di Martin Scorsese, con un uomo che arriva su un’isola alla ricerca di se stesso, sostituendo uno che si è appena suicidato, e ci porta invece ad indagare il mistero della luce, finendo per farci scottare come in 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, con tanto di omaggio finale alla figura di Prometeo. Un noir mistico dalle grandi domande, dai grandi misteri evocati dalle leggende dei marinai, dal libro maestro, dal giudizio sulla condotta, dalle figure leggendarie del mare (la sirena) fino alle maledizioni (il gabbiano), senza tralasciare lo sfruttamento di un uomo su un altro, e quella condanna che si trascinava dietro anche Christian Bale ne L’uomo senza sonno (2004) di Brad Anderson.
Un concentrato di malessere (la condizione della vita materiale) all’ombra di un faro cui l’uomo è destinato ad affaticarsi per mantenerne in vita la luce, luce alla quale gli è negato però l’accesso.
Il film è tutto sulle spalle di due attori in grande forma (forse un po’ troppo “annaffiati” nella performance) con Willem Dafoe nella parte del marinaio, e che in alcuni primi piani ricorda Orson Welles, e Robert Pattinson nei panni dell’assistente. Un po’ pesante il monologo/sclero di Willem Dafoe ad un certo punto, ma il film scorre veloce come un’ottima piece teatrale a due condita di inserti visionari e inquadrature, citazioni e scale a chiocciola a gogo.
buona visione.