
Fritz Honka
Sono ancora sconvolto dopo aver visto Il mostro di St. Pauli di Fatih Akin, e per più di un motivo. Non mi dilungherò qui nel ricordare che si tratta di un film ispirato agli omicidi di Fritz Honka ad Amburgo negli Anni 80, perché ne hanno già parlato tutti e comunque questo tipo di informazioni si possono ricavare con una ricerca su Wikipedia. Anche perché i fatti messi in scena da Akin non corrispondono completamente ai fatti reali di questa brutta e sozza vicenda, perché non è quella realtà la cosa importante di questo film, ma la realtà che il regista mette in scena. Sconvolgente.

Angst (1983)
Sono scioccato perché Fatih Akin questa volta ha fatto davvero un film scomodo, scorretto, che lavora sulla brutalità con un rigore formale da brividi, coinvolgendo qualsiasi reparto in questa maniacale rappresentazione dello squallido, dalla scenografia al trucco, fino al suono, e soprattutto con un grandissimo lavoro con gli attori. Non vedevo una anziana attrice volare sul pavimento e lottare per salvarsi la pelle dal film austriaco Angst (1983) di Gerald Kargl. Una perla per questo tipo di film.
Ed è sicuramente a questo cinema che questa volta Akin fa riferimento, un cinema viscerale che non nasconde l’orribile mondo da cui ha origine, fatto di mostri condannati a marcire nella propria fogna: Il guanto d’oro, il locale che dà anche il nome originale al film (Der Goldene Handschuh), e dove Fritz Honka adescava le sue vittime.
Un film davvero sozzo, e che non risparmia nemmeno una pisciata sui pantaloni di un ragazzino da parte di un ex nazista. Scena che avrà fatto esultare gli amanti di tutti i più folli bmovies che hanno girato nelle sale d’Europa (e nelle versioni più cruente e non censurate proprio nel mercato tedesco e quello francese) a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta (la sequenza di brutte facce) ed ai quali probabilmente Akim fa una sorta di omaggio, o di denuncia.
Non ho mai nascosto di essere un amante del cinema di genere, tanto che ero indeciso se scrivere di questo film nel più sudicio blog Weirdpress, ma poi, trattandosi di un regista comunque considerato anche autore e mainstream, ho scelto di parlarne su questo blog perchè un film come questo, rimarrà nella storia del cinema tedesco.
E’ indiscutibile infatti la sua regia, che si affida ad una macchina da presa né troppo fisica, né troppo leziosa, semplicemente presente, che non cerca l’effetto con il montaggio, e che lascia anzi che tutto esploda in pochi e squallidi metri quadri, come lo sono tutti i posti claustrofobici in cui si divide questo angolo di inferno: l’appartamento di Honka, il pub, le stanze dove Honka fa il guardiano notturno, il cesso, fino al nascondiglio dove nasconde i pezzi delle sue vittime. Un insieme di scatole chiuse e sporche di merda e violenza.
E’ un film che mi ha davvero sorpreso, mi ha fatto stare male, ma questo spiazzamento a fine visione, non viene solo dal fatto che un grande regista abbia fatto un film così zozzo, quanto il fatto che non se ne comprende la necessità. A fine visione difatti, non sono riuscito ad individuare altri elementi che possano accennare a qualsiasi cosa, oltre una esistenza squallida e senza via d’uscita. La vicenda di Fritz Honka infatti non è legata a niente, concretamente, perché per Akin si tratta di un pazzo in mezzo a degli scarti, e che dà lì non ha nessuna possibilità di emergere. Punto.
Sono dovuto partire allora proprio dal titolo del film, e quindi che dal luogo in cui tutto questo inizia, Il guanto d’oro, per ipotizzare che Akin abbia voluto simbolicamente sfilare il guanto dorato dalle mani della Germania Ovest di quegli anni, e mostrare la carne putrefatta che si celava sotto.
Rimane però a livello solo nominale (nel titolo del film appunto) perché le immagini oniriche della giovane potenziale vittima che a sua volta mangia carne in una macelleria paradisiaca, non aiutano ad arrivare a questa conclusione, come non ce la fa nemmeno la figura del giovane nerd che invece trova affascinante questa deriva.
Ho provato a vederci Fassbinder, ma niente, non ha funzionato, ci ho visto di più Dario Argento con Suspiria (1977) nella scena delle larve che cadono dal soffitto. Per questo alla fine ho dovuto accettarlo davvero per così come è: un film di genere.
Credo che a questa confusione iniziale ed a questa conclusione alla quale sono arrivato, abbia contribuito soprattutto lo sguardo in camera dell’assassino una volta catturato, una scelta tutto sommato naif, che forse è solo il gesto di sfida del regista al suo pubblico, e nulla più. Davvero un film portentoso in questo senso, nella sua feroce sfida alla visione.
Quentin Tarantino, che comunque ha fatto un altro gran bel film con C’era una volta ad Hollywood (2019) dovrebbe vedere il film di Akin e capire che negli omaggi al genere, ci si potrebbe sporcare le mani anche di più.
Con Il mostro di St. Pauli Fatih Akim ha (ri)creato un immaginario davvero scomodo (eccezionale sotto la maschera l’interpretazione molto fisica di Jonas Dassler) tanto che in Germania si è beccato un bel divieto ai minori. Unica remora personale, l’eccessiva demonizzazione di un luogo, il quartiere a luci rosse di Amburgo, comunque con una tradizione storica e politica anche tanto diversa da quella del guanto d’oro.
buona visione.