Vedere un film di Ti West vuol dire essere disposti a vedere un cinema che non si prende mai sul serio, e che nella maggior parte dei casi funziona come cinema proprio per questo.
Prendiamo un genere come il western, che ha delle regole ben precise come la giusta scelta del protagonista, un cavaliere solitario in cerca di vendetta. E dopo un accurato casting scegliamo Ethan Hawke per interpretarlo, nel pieno della sua seconda giovinezza cinematografica (davvero); proviamo poi a metterlo di fronte a John Travolta (forse alla sua terza giovinezza cinematografica) e diamogli anche un pretesto qualsiasi, dico, qualsiasi, pur di mettere in moto la macchina cinematografica di Ti West e fare un film. Ecco Nella valle della violenza (2016) l’ultima fatica per la sala grande del giovane regista americano.
Questo pretesto è una cagnetta, qualcosa che vale più dell’amore e che un gruppo di malviventi, capeggiati dal figlio dello sceriffo di Donver hanno ucciso, per vendicarsi di un affronto subito in una rissa provocata.

Ethan Hawke
Sì, il pretesto è un vero e proprio MacGuffin con il pelo (anche ben elaborato nella narrazione di tutta la prima parte del film) ed in fondo che problema si deve essere posto Ti West (autore della sceneggiatura), se anche tutto Rambo (1982) diretto da Ted Kotcheff, alla fine si basava su uno screzio tra un reduce del Vietnam e uno sceriffo che non voleva rogne…. con tanto di salto nel vuoto di Ethan Hawke in Nella valle della violenza.

John Travolta a sinistra
Il western torna così sul grande schermo con ironia (uno sceriffo codardo, una rissa ridicola, dialoghi e personaggi spesso sopra le righe) nelle mani di un regista che cerca di tenere tutto sotto controllo (e in parte ci riesce) con tanto di non troppo velata critica alla società americana, in fondo già presente nella scelta del titolo: quella della cittadina di Donver è la valle della violenza dove si lascia che il più stupido faccia il bullo perché figlio di una autorità, un figlio che nella sua ottusaggine, ovviamente, non accetta di buon occhio lo straniero.

Taissa Farmiga (a sinistra)
Il mistero e il fascino del protagonista si affievolisce con il procedere della storia purtroppo e cede di fronte a questa leggerezza narrativa con la quale Ti West ha affrontato il genere, pur omaggiando tutti, sin dai titoli di testa. C’è anche Taissa Farmiga lanciata nel 2011 nella serie tv American Horror Story, ma anche se il suo è un bel personaggio, forse il più riuscito, non è questo il film che la renderà celebre sul grande schermo.
Un western divertente, forse un po’ troppo leggero.
buona visione.