
Non lo abbiamo mai nascosto: per noi Quentin Dupieux (una volta Mr. Oizo) è un genio, o un fuso totale, o comunque uno che non ha niente in testa, se non il cinema, o la voglia di farlo e di giocarci. E’ questa probabilmente sempre stata la sua massima ambizione, e con Réalité (2015), il suo ultimo folle film, sembra che l’abbia raggiunta.


La storia, come sempre, non è semplice da riassumere sebbene il plot sia, ancora più spesso, banale (o assente): una bambina si accorge che nello stomaco di un cinghiale, appena ucciso dal padre, c’è una videocassetta. In famiglia non se ne è accorto nessuno, tanto che la vhs è finita nel bidone dell’immondizia assieme tutte le altre frattaglie della bestia, ma come tutti i bambini, è così curiosa da fare di tutto per cercare di visionarne il contenuto. Parallelamente c’è la storia del cameraman Jason Tantra (interpretato da un superbo Alain Chabat) che sta cercando di realizzare il suo primo film, ed al quale il produttore Bob Marshall gli chiede, per chiudere il contratto, di trovare il suono da Premio Oscar che rappresenti al meglio la sofferenza delle vittime di cui parla il suo film, chiamato Waves.

Se all’apparenza dunque, il film si poggia su queste solide parallele, è anche vero che a mischiare le carte è un terzo regista, Zog (a cui presta lo scarno volto John Glover) un documentarista diventato un homeless, strappato dalla strada proprio dal produttore, e che adesso sta facendo un grand film: proprio sulla storia della bambina che ha trovato la videocassetta.


Ci siamo persi? sicuramente, o forse no, se seguiamo il film come fossimo seduti tra David Lynch e i fratelli Coen, dietro Jean Luc Godard, e non riuscissimo ad alzarci dalla sedia perché qualcuno ci ha messo la colla sotto il culo. Questo è Réalité e questo è il nuovo film di Quentin Dupieux, un viaggio psichedelico nel cinema nonsense che si struttura su così tanti piani, da quello onirico a quello puramente visivo, fino a quello visionario, capace di riconsegnare al suo pubblico un piacere davvero raro: del gioco del cinema in quanto tale, solo per se stesso. E’ emblematico infatti che tutto abbia inizio con la scena di caccia, e con la bambina che è addormentata in auto: potrebbe essere addirittura tutto un lungo sogno (raccontato tecnicamente al contrario, dove non è alla fine che la bambina si sveglia, ma all’inizio che si mostra già dormire).

Siamo in un sogno allora, siamo nel cinema, siamo in quella zona della visione che non ci permette di mettere in relazione le persone tra di loro se non per occasionali passaggi (tutti i protagonisti si sfiorano, dal preside che si veste da donna a bordo di una jeep fino alla psicologa che si prende carico dei suoi sogni, e che non sono sogni) come avviene appunto durante quella fase della giornata, in cui non siamo più consci di quello che stiamo vedendo.

Un film che può spappolare il cervello, come dice Bob Marshall (Jonathan Lambert) quando finalmente vede il contenuto della videocassetta, ma anche quello che propone il cameraman Jason Tantra alla base del plot del suo film Waves: televisori assassini che attraverso l’emissione delle fanno esplodere la loro testa dei telespettatori.

In Réalité allora tutti vedono attraverso qualcosa, tutti si addormentano e si risvegliano, in questo gioco che forse potrebbe essere solo l’ennesimo omaggio omaggio di Dupieux (come sempre autore anche della sceneggiatura) al suo cinema ed ai suoi registi preferiti (come non vedere in Waves un rimando a Videodrome (1983) e Scanners (1981) di David Cronenberg) e a quelli che forse ha davvero odiato (“fuck Kubrick“).
Ci aspettiamo di vedere Waves adesso, ovviamente, o continueremo a sognarlo.
buona visione.
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