
Robert Nesta Marley
Non devono essere pochi i documentari, i biopic e le monografie ispirate a Robert Nesta Marley, conosciuto più semplicemente come Bob Marley, l’uomo che inventò la reggae music, un genere che nell’arco di una decina di anni riuscì a conquistare platee in ogni angolo del mondo ed a sviluppare un vero e proprio culto.

Haile Selassie I
E’ proprio su questo concetto del culto che il documentario Marley (2012) di Kevin Macdonald si concentra, legando particolarmente la musica ed il percorso spirituale del compositore giamaicano ad una rilettura “black” della Bibbia. Ben chiaro già nel set up infatti, il mito di Haile Sellassie I (colui che liberò l’Etiopia dalla schiavitù) diventa chiave di lettura principale dell’intero percorso di Bob Marley, dalla scrittura dei testi al successo mondiale, spinto da una fede soprannaturale capace di creare miracoli (scampato ad un attentato politico unisce sullo stesso palco due fazioni opposte) fino al martirio ed alla diffusione del verbo su scala mondiale.
Costruito purtroppo come la maggior parte dei biodoc che hanno una star come soggetto (quindi con struttura a parabola e lancio del mito) il documentario di Kevin Macdonald non ha dalla sua parte nemmeno una fotografia delle interviste superiore alla media degli altri documentari realizzati dai maggiori network televisivi, avendo Marley invece pretese di proiezione in sala. Il film però scorre come una qualsiasi buona dancehall in riva al mare: è un documentario con tanta musica, e trattandosi del reggae, non può che non rapire, ipnotizzare, in un melanconico levare che è misto di gioia e dolore, come il battito cardiaco.
Facile, e piacevole.